L’INTERVENTO

«Come sarebbe il mondo senza popoli indigeni? Per come lo conosciamo non esisterebbe più»

di Priscilla Oliveira

«Come sarebbe il mondo senza popoli indigeni? Per come lo conosciamo non esisterebbe più» Nonostante i continui attacchi alle loro terre e alle loro vite, la resistenza dei popoli indigeni cresce in ogni continente. Lottano per vedersi restituire le terre da cui dipendono, così da poter decidere delle loro vite e determinare liberamente il proprio futuro. (© Charlie Hamilton James)

Potremmo non rendercene conto nella nostra vita quotidiana, ma i popoli indigeni di tutto il mondo stanno proteggendo i loro territori, la natura che li circonda e i biomi in cui vivono. Lo fanno perché è parte intrinseca del loro essere. Oggi, in occasione della Giornata Onu dei popoli indigeni, fermiamoci un attimo a riflettere: come sarebbe il mondo senza popoli indigeni? La risposta è semplice. Non ci sarebbe, il mondo per come lo conosciamo non esisterebbe più. Ed ecco perché.

La ricercatrice di Survival International Priscilla Oliveira ha proposto a Pianeta 2030 questa riflessione sul Brasile e su «quanto sia cruciale mettere in luce le voci indigene e decostruire la mentalità della conservazione coloniale», in occasione della Giornata Onu dedicata ai popoli indigeni

Decostruire la mentalità della conservazione coloniale

Le terre indigene fanno da scudo alla distruzione ambientale: molte delle foreste a più alta biodiversità del bacino amazzonico, ad esempio, si trovano nei territori indigeni. Guardando la mappa dell’Amazzonia su Google Earth, questi territori appaiono chiaramente come isole di verde circondate da una crescente deforestazione. Ciò è particolarmente evidente osservando le foreste delle tribù incontattate, i popoli più vulnerabili del pianeta, che rischiano di essere sterminati se i loro territori vengono invasi, ma prosperano quando gli estranei restano fuori. La relazione dei popoli indigeni con la terra è molto diversa da quella dei non-indigeni: per loro la terra è parte fondamentale della vita quotidiana. Non è esagerato affermare che è come una parte del loro corpo. Distruggerla equivale quindi a violentarli ed è causa di sofferenze profonde, di disperazione e persino di morte.

Visto dall’altro il territorio di Arariboia in Brasile, così come moltissimi altri territori indigeni in Amazzonia, appare come un’isola di verde in un mare di deforestazione  (© Survival Immagine/Survival) Visto dall’altro il territorio di Arariboia in Brasile, così come moltissimi altri territori indigeni in Amazzonia, appare come un’isola di verde in un mare di deforestazione (© Survival Immagine/Survival)

Per noi occidentali è difficile comprenderlo pienamente. Nella nostra società molti tendono a vedere il mondo naturale come una risorsa da sfruttare, che sia per piacere o per profitto, e spesso amano pensare che gli esseri umani siano qualcosa di separato dalla natura, se non addirittura “al di sopra” di essa. Questa mentalità ha dato origine al modello coloniale della “conservazione fortezza”, che sfratta i popoli indigeni dalle loro terre e porta alla tortura e addirittura all’omicidio di coloro che non si adeguano.
Molti occidentali distruggono spensieratamente le terre indigene, ricche della biodiversità che sostiene la nostra esistenza, in cambio di piaceri effimeri e materialistici. E per questo molte vite umane vengono distrutte.

MERONG, E LA LOTTA DEL SUO POPOLO KAMAKÃ MONGOIÓ: «DOBBIAMO TORNARE ALLA NOSTRA TERRA, PERCHÉ NOI SIAMO LA TERRA STESSA»

Nel suo libro “La caduta del cielo” lo sciamano Davi Kopenawa lo spiega molto chiaramente: «I Bianchi hanno già abbastanza metallo per fabbricare le loro merci e le loro macchine; terra per piantare il loro cibo; tessuti per coprirsi; automobili e aerei per muoversi. Tuttavia, ora bramano il metallo della nostra foresta per fabbricare ancora più cose e il soffio malefico delle loro fabbriche si propaga dappertutto... la sua oscurità scenderà fino alle nostre case e, allora, i figli dei nostri figli non vedranno più il sole».
Nel frattempo, in totale antitesi, la maggior parte delle visioni del mondo indigene considerano gli esseri umani e l’ambiente in cui abitano come inseparabili e reciprocamente interdipendenti. Le loro credenze, plasmate nel corso di generazioni di esperienze vissute, li portano a proteggere la natura e il loro popolo.
«Dobbiamo tornare alla nostra terra, perché noi siamo la terra stessa»: lo ha detto Merong, un uomo Kamakã Mongoió del Brasile, raccontando la lotta del suo popolo per rivendicare la terra ancestrale di cui sono stati derubati per far spazio alle attività minerarie. La stessa filosofia risuona tra altri popoli del mondo. In India, il leader Jenu Kuruba JK Thimma, il cui popolo è stato sfrattato con la forza dalle sue terre nel nome della conservazione della tigre, si chiede: «Come si può proteggere la foresta se noi non compiamo i nostri rituali? [Gli esterni] non sanno affatto come proteggerla».

Mettere in luce le voci indigene

Sarebbe ingenuo affermare che la conoscenza indigena da sola ci salverà dalla crisi climatica ma è innegabile che la più intima comprensione che l’umanità ha dei diversi ecosistemi della terra sta proprio nelle vite e nelle terre dei popoli indigeni. È uno degli strumenti più potenti che abbiamo nella lotta per salvare il nostro pianeta. Al contrario, il nostro tallone d’Achille è l’assunto imperialista secondo cui le società “altre” che vivono delle loro terre e hanno poco a che fare con l’economia di mercato globalizzata, hanno una comprensione delle cose meno sofisticata della nostra. Molti sono pronti a liquidare velocemente le conoscenze e le visioni del mondo indigene come miti e superstizioni, quando in realtà oggi è la nostra stessa scienza a dimostrarci che è falso, fornendoci miriadi di esempi in tutto il mondo.

Il valore dell’esperienza sulla natura

Gli Alawa del nord dell’Australia usano la parola “Jarulan” per descrivere un particolare tipo di incendio, che viene appiccato intenzionalmente da un uccello. Jarulan non è un mito e neppure una metafora: è letteralmente così. Con una ricerca del 2017, alcuni scienziati hanno riconosciuto ciò che gli indigeni sapevano da tanto tempo: che ci sono non una ma ben tre specie di uccelli che diffondono deliberatamente le fiamme per far uscire allo scoperto le loro prede.

 Pochi popoli sulla Terra hanno una relazione tanto stretta con la foresta quanto quella dei popoli del Bacino del Congo. Sono i migliori conservazionisti. Eppure vengono sfrattati, torturati e uccisi nel nome della conservazione(© Nicolás Marino/Survival) Pochi popoli sulla Terra hanno una relazione tanto stretta con la foresta quanto quella dei popoli del Bacino del Congo. Sono i migliori conservazionisti. Eppure vengono sfrattati, torturati e uccisi nel nome della conservazione(© Nicolás Marino/Survival)

Se la maggior parte degli studi scientifici raccolgono i loro dati nel corso di mesi o anni, l’esperienza indigena ha un vantaggio di millenni ed è quindi una prospettiva che non possiamo permetterci di ignorare. Oltre 230.000 persone sono morte nello tsunami asiatico del 2004, che è sembrato arrivare senza preavviso. Eppure, i popoli indigeni delle Isole Andamane riconobbero i segni e agirono di conseguenza per mettersi al sicuro, al punto che le conseguenze del disastro sulle loro comunità sono state quasi inesistenti.
Le conoscenze custodite dai popoli indigeni non sono solo insostituibili, sono anche vitali, e se venissero distrutte, non saremmo più in grado di recuperarle. Per troppo tempo abbiamo ridotto al silenzio coloro che vedono il mondo in modo diverso da noi, e tutti ne stiamo subendo le conseguenze. Dobbiamo restare al fianco dei popoli indigeni, lottare per i loro diritti territoriali in tutto il mondo e costruire così un futuro più luminoso. Non sono solo i Kamakã, i Jenu Kuruba o gli Alawa ad aver bisogno della terra: il destino stesso della vita su questo pianeta dipende da essa.

COS’E’ E COSA FA
SURVIVAL INTERNATIONAL

Survival International è il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni. Li aiuta a difendere le loro vite, proteggere le loro terre e determinare autonomamente il loro futuro. La sua missione è impedire lo sterminio dei popoli indigeni, e per farlo collabora con loro e gli offre un palcoscenico da cui rivolgersi al mondo. Per saperne di più consultate il sito Survival.it

* Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese sul sito FairPlanet